C. MarchesiVIVA CONCETTO MARCHESI!

DA: http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/cultura/Profili_1487096233.htm

di Sebastiano Saglimbeni

sebastiano ritrattoA Concetto Marchesi, un grande italiano, nella definizione dello storico Silvio Pozzani, sono stati dedicati in Italia scuole, strade, circoli ed associazioni culturali. È molto nota e fertile di incontri, l’omonima Associazione a Gallarate, fondata dal giudice onorario Matteo Steri e Osvaldo Bossi.

“Marchesi, un umanista nella continua meditazione sulla storia esemplare di Roma antica aveva appreso, come Machiavelli, a conoscere le passioni e le opere, le virtù e i vizi degli attori sul proscenio, dei dominatori, dei vincitori, degli amici e dei servi dei vincitori”. Lo ricordava in alcuni scritti di un tempo, ora in Etica e politica/ Scritti di impegno civile (I Meridiani, Mondadori, 2009), Norberto Bobbio. L’umanista nasce in Sicilia, a Misterbianco, nel 1878. Mentre studente, pubblica nel 1898 presso l’editore Giannotta di Catania Duo Codices Neveleti. L’anno seguente, appena conseguita la laurea a Firenze, pubblica per lo stesso editore La vita e le opere di Elvio Cinna. Un lavoro, questo, che segna l’ impegno del latinista, scopritore, sino alla vigilia della sua morte, avvenuta a Roma il 12 febbraio 1957, di scritture classiche latine mal note e sconosciute. La sua Storia della letteratura latina, edita da Principato di Messina nel 1925, oggi, a sessant’anni dalla sua morte, resta, come scrisse il grecista Manara Valgimigli,“un monumento insigne per straordinaria ricchezza di acume psicologico e di umana esperienza”. Negli anni che vanno dal 1903 al 1908, Marchesi vive a Messina ove insegna in un liceo classico. Qui si accompagna a Francesco Lo Sardo, futuro deputato, eletto nel 1924 nella lista del Pcd’I, fatto arrestare due ani dopo, la sera dell’8 novembre, dal regime fascista e fatto morire nel 1931, per mancanza di cure, nel carcere a Poggioreale. Marchesi scriverà per la pietra sepolcrale di questo martire antifascista l’epigrafe che recita: “Vitae suae non fidei/oblitus obliviscendus nulli” (Dimentico di sé, non della fede, nessuno lo dimentichi). Nello stesso anno 1908, evitando il terremoto, che causò circa centomila morti, tra Messina e Reggio Calabria, si trasferisce a Pisa dove diventa consigliere comunale democratico. Sette anni dopo, nella stessa città, dimostrano i netturbini per il salario e lo scelgono come rappresentante democratico. Scrive il suo biografo Ezio Franceschini: “Non prese parte alla vita clandestina attiva quando, durante il fascismo, il partito fu messo al bando, ma senza nascondere le proprie idee, visse isolato divenendo centro di attrazione per molti”. Questa scelta di Marchesi, denigrata da quella nomenclatura comunista, durò dal 1923 al 1943. Ma, a proposito, si può dare una spiegazione: egli, come insegnante e come rettore, non avendo abbandonato l’Università, il suo posto, da dove, in qualche modo, poteva resistere, credeva, con il suo insegnamento, con la sua immagine fisica, di compiere un’azione ancora più forte, seppure rischiosa, contro la dittatura fascista. Sarà chiarito tutto nel suo discorso inaugurale dell’anno accademico 1943-‘44 tenuto nell’aula magna dell’Università di Padova il 9 novembre e, dopo, con l’ Appello agli studenti, scritto il 28 novembre 1943 e divulgato il messe successivo. Norberto Bobbio, prima ricordato, che era in quell’anno cruciale un giovane insegnante all’Università di Padova e faceva parte del rettorato, giudicò quell’Appello agli studenti, “uno dei documenti più famosi della Resistenza”. All’età di 66 anni, Marchesi abbandona il rettorato patavino e vive clandestino, tra la Svizzera e Milano, dove scrive la Lettera aperta al senatore Giovanni Gentile, una ferma e intransigente risposta a un articolo del “Corriere della sera”, a firma del filosofo, che invitava gli italiani ad una pacificazione. In questo periodo firma pagine sulla guerra di Liberazione, pagine che si leggono di alto livello linguistico e storico, come pure I discorsi, che più tardi, quando sarà deputato, pronuncerà al Parlamento dal 1948 al 1957 e divulgati nel 1986, a trent’anni dalla sua morte, grazie all’allora Presidente della Camera Nilde Iotti, che li ha fatti pervenire alla direzione delle veronesi Edizioni del paniere, perché venissero editati. Fu Marchesi ad interpretare la Resistenza come un altro Risorgimento sebbene i suoi primordi siano stati disordine e torbidezza.
Nel 1946, Marchesi viene eletto deputato per l’Assemblea Costituente nella Circoscrizione di Verona con 9574 preferenze e, successivamente, per il primo e il secondo Parlamento, nella circoscrizione di Venezia. Il suo lavoro di parlamentare è più rivolto alla Scuola, alla palingenesi di questa. In una relazione alla Camera del 19 maggio del 1954, denunciando, sottolinea: “ È bene che la dittatura di talune persone finisca (…)”. Alcuni anni prima, nel 1948, aveva criticato aspramente il numerus clausus nelle Università. “Il numerus clausus? No!”, aveva gridato. “Non coi reticolati si difende la scienza; e non vogliamo trincee nemiche per la gioventù italiana, che ha tanto sofferto per opera degli anziani”, aveva proseguito. Marchesi al Parlamento sostiene le opere d’arte, come la “Farnesina”, la villa di Agostino Chigi, in uno stato di fatiscenza. “Da tutte le parti del mondo si viene a vedere i capolavori architettonici e pittorici italiani; forse tra non molto potranno venire a vedere le rovine di non pochi di essi”, scrive nel suo “Ordine del Giorno” dell’ 8. 4. 1954. E continua, sottolineando l’incuria che si era abbattuta sulla “Farnesina”: “Vi è una villa qui a Roma, ch’Ella conosce certamente, signor Ministro, un purissimo capolavoro architettonico del primo Cinquecento, che il Vasari diceva non costruito sulla terra ma nato, spuntato dalla terra”. In altri luoghi dei suoi scritti, in nome della libertà, scrive: “La libertà è distrutta dalla più bestiale tirannia: i cattolici, i laici e i sacerdoti, i liberali borghesi che non abbiano rinnegato la dignità del vivere civile, resistono all’oppressione”. Questo, fra l’altro, a distanza di 60 anni dalla scomparsa dell’umanista e politico, ci rimane e che ancora meglio si può definire con le parole di Bobbio. Si sentano: “Non era soltanto uno studioso, uno dei maggiori nel suo tempo: era un uomo che aveva una visione tragica, ma non disperata. Egli stesso si descriveva come uno che aveva l’anima dell’oppresso, ma non la rassegnazione”.
Si accennava alla sua Storia della letteratura latina. Tanti studenti dei Licei classici e scientifici e delle magistrali, soprattutto durante il secolo scorso, appresero molti nomi ed opere di scrittori latini, da Ennio agli apologisti. Ammiratissima l’opera di Agostino di Tagaste da un Marchesi ateo. Nelle ultime pagine della Storia della letteratura latina, Marchesi conclude sulla grandezza della lingua latina di cui scrive: “Quando sorge la grande letteratura romana, da Plauto a Lucrezio, a Tertulliano, ad Agostino, la Grecia non dà quasi più nulla che possa superare le opere e le personalità del genio latino”.

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